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Natale 2017: le news


Buon Natale!

SPIGOLATURE NATALIZIE

di Giacomo Morandi (Rivergaro)

Frugando nella memoria, ormai un po’ stanca, mi sfilano di fronte ricordi anch’essi molto sbiaditi di Natali vissuti qua e là, da bambino e da adulto, per lo più felici, devo ammetterlo, anche in periodi bui della guerra o in occasione di tristi vicende familiari.
Nella mia famiglia, per noi bambini, il Natale non era occasione di regali perché questi arrivavano una decina di giorni prima, il 13 dicembre per Santa Lucia, usanza questa diffusa nella mia città e nelle province vicine. A Natale, sull’immancabile presepio, trovavamo cioccolatini, torroni, altri dolciumi e, chissà perché, un cestino di mandarini, ma i giocattoli li portava Santa Lucia, anche se il segreto della sua venuta io lo avevo scoperto e rivelato alle mie sorelle già all’età di cinque anni. In uno stanzino c’era un vecchio armadio, la chiave del quale non era nascosta a sufficienza per impedirmi di scovarla.
Alla messa di mezzanotte mia madre non sarebbe mai voluta mancare e farla perdere a noi, che del resto apprezzavamo l’eccezione notturna al letto alle 21. Mio padre ne era invece esentato, come anche dalla messa domenicale e dalle altre cerimonie religiose nel corso dell’anno, per un tacito accordo con mia madre.
Ovviamente, la sera della Vigilia si cenava “di magro” per fare penitenza, diceva la mamma, ma sulla tavola non mancavano piatti abbastanza sontuosi come i tortelli di ricotta (magri), le sogliole di Dover o lo storione con insalata russa e, per terminare, una tazza di zabaglione.
Il giorno di Natale il pranzo, preparato tutto in casa da mia madre, prevedeva antipasti di salumi, il capitone, anolini in brodo di cappone, tacchino arrosto, cappone lessato con mostarda di frutta, panettone Motta, frutta secca assortita. Dopo, per mio padre soltanto, un grappino. Alle 11 del mattino si andava alla messa grande. Mio padre aspettava fuori e partecipava ai convenevoli di rito del dopo messa sul sagrato, e durante la movida (ma allora non si chiamava così) si fermava al Bar Italia per una mezz’ora di imprudenti (secondo mia madre) discussioni politiche con gli amici.
Poi venne la guerra e gradualmente si strinse la cinghia e i pranzi si impoverirono drasticamente.
Ricordo il Natale del 1944, quando mio padre era fuggitivo sui monti del piacentino, ricercato dalle milizie di Salò e da oltre un mese non ne avevamo notizie, io rientrato a casa dopo avventure sui monti con lui e una lunga camminata notturna nei boschi. Mia madre aveva rimediato un pasto “rubando” da un carro tedesco, parcheggiato sotto un nostro porticato, un paio di pagnotte di segale che sembravano mattoni ed era riuscita a ritagliare una bella fetta di carne da un quarto di manzo sul medesimo carro e, da un litro di panna fresca ottenuta a caro prezzo dai contadini, una tazzona di panna montata.
In casa i tedeschi ci avevano requisito un paio di stanze per alloggiare uno scorbutico capitano e due poveracci “mongoli” (in effetti si trattava di un ucraino e di un turchestano recliutati dai campi di prigionia, che avevano partecipato al terribile rastrellamento antipartigiano del mese prima). I due mongoli, parteciparono al nostro magro pranzo ma rifiutarono la panna montata.
Finita la guerra, i nostri Natali ritornarono gradatamente alla normalità. I giocattoli ormai li snobbavamo e non c’erano molte alternative per i regali di Santa Lucia, ma la tradizione dei dolciumi continuò per qualche anno.
Il primo Natale all’estero lo trascorremmo a Londra, con i Christmas Carols in Trafalgar Square e la messa in inglese nell’unica chiesa cattolica della nostra cittadina che si chiamava Welwyn Garden City. Era una povera chiesa e anche il parroco, un irlandese, faceva vita grama, ma il Natale era una festa molto sentita, di massa.
Idem a New York e a Toronto, dove le chiese cattoliche erano più numerose e ricche. La nostra parrocchia di Toronto era San Gabriele, retta dai Fratelli Passionisti, una congregazione piuttosto ribelle e malvista dal clero della città per l’orientamento riformista. Fedeli in fila per la comunione, assoluzione collettiva e barzellette durante l’omelìa del Vangelo. La voglia sfrenata dei regali, spesso inutili, avrebbe contagiato l’Italia solo più tardi, ma in quei paesi lo scambio avviene tuttora fra i parenti, gli amici, i conoscenti, i colleghi di lavoro. Un rito.
Un paio di festività natalizie le trascorremmo con brevi vacanze in Florida e alle Bahamas, sulle spiagge con le palme al posto degli abeti. Anche l’albero in salotto era una palma. A Parigi nulla da segnalare. Tutto identico all’Italia.
Un’ultima osservazione: ai tempi della mia infanzia e gioventù non c’era Babbo Natale, creatura nordica ed esotica. Mi metto nei panni dei bambini di oggi che vedono, un po’ perplessi, tanti Babbi Natale schierati agli ingressi dei supermercati. Mah!
 

 

 

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